Finalmente si è conclusa la controversia legale che ha visto contrapposti OpenAI e alcuni importanti autori della letteratura americana. La causa, iniziata ormai più di un anno fa e discussa presso la Corte Distrettuale della California settentrionale, riguardava l'utilizzo non autorizzato di opere protette da copyright per addestrare sistemi d'intelligenzaartificiale.
Tutto ebbe inizio quando Paul Tremblay e Sarah Silverman decisero di citare in giudizio OpenAI, sostenendo che il celebre chatbot ChatGPT fosse stato addestrato illegalmente sfruttando estratti dei loro romanzi "The Cabin at the End of the World" e "The Bedwetter". Inoltre, gli scrittori accusavano l'azienda tech di aver impiegato materiale piratato nel processo di training dei propri modelli AI, in violazione delle leggi sul diritto d'autore.
La posta in gioco era molto alta: il processo avrebbe dovuto determinare se OpenAI avesse violato il copyright sulle opere letterarie, stabilendo anche un'eventuale richiesta risarcitoria. Ma rappresentava soprattutto un precedente delicato nel rapporto tra intelligenza artificiale e contenuti protetti.
Dopo mesi di dibattito legale è infine giunta la sentenza finale!
Sebbene i sistemi dell'azienda tech dimostrassero familiarità con i contenuti dei libri, il tribunale ha riconosciuto l'impiego di brevi frammenti a scopi di apprendimento automatico come legittimo fair use.
Sembra quindi che gli assistenti digitali e il chatbot ChatGPT fossero in grado di rispondere in maniera accurata a domande e richieste di riassunto relativi alle trame e ai temi trattati nei romanzi, dimostrando quindi di aver «imparato» e assimilato le informazioni contenute in essi.
Tuttavia, come stabilito dalla sentenza, questa capacità di mostrare familiarità e comprensione non è stata ritenuta dal giudice sufficiente a configurare una violazione del copyright, in quanto i sistemi AI non ne riproducevano testualmente porzioni significative né creavano opere derivate non autorizzate.
Pertanto, la Corte ha respinto le accuse mosse da Tremblay e Silverman, riconoscendo che le risposte di ChatGPT non costituissero opere derivate ma creazioni originali frutto dell'intelligenza artificiale. Una decisione che, pur tracciando un solco importante, non ha ancora chiarito in maniera definitiva tutti gli aspetti di questa complessa questione legale.
Questa decisione rappresenta certamente una buona notizia per OpenAI e una spinta allo sviluppo dell’AI generativa. Tuttavia, il quadro legale sull’impiego di dati protetti resta complesso e le aziende devono valutare attentamente l’approvvigionamento dei dataset di training.
L'esito di questo caso era atteso con ansia perché pone un precedente da considerare nel futuro giudizio tra OpenAI e NYTimes.
Tutti gli occhi sono puntati lì, inutile dirlo.